Stanno disegnando una società senza amore e senza cultura.
Una società dove fidanzati e amici non fanno parte dei legami affettivi perché non riconosciuti su nessun pezzo di carta.
Se penso ai miei legami più cari – a parte la mia famiglia di sangue s’intende – annovero un numero altissimo di persone fondamentali per la mia vita che non compaiono certo sul mio stato di famiglia.
E, peggio mi sento, persone importantissime per la vita di mio figlio – il mio compagno, per citarne una, nonché un novero fittissimo di zie e zii acquisiti – che non vengono minimamente considerati come facenti parte della sua vita.
Penso alle persone che magari hanno scelto di condividere gli spazi e la cura dell’altro in questa quarantena, non necessariamente coppie, magari amici, che però non possono spostarsi insieme perché nessuno sa, ufficialmente, che vivono insieme.
Penso invece alle coppie magari giovani, oppure coppie adulte, come la mia, che avevano deciso di non vivere insieme per scelta, e si sono trovate separate da questa emergenza, e da due mesi non possono toccarsi, abbracciarsi, fare l’amore.
Penso a chi vive solo, e ha sempre contato sugli amici, sui vicini di casa, magari perché vive in una città diversa da quella di origine, e i legami in quei casi diventano talmente forti da non avere nulla da invidiare all’utopistica visione da “Mulino Bianco” che ancora un volta questo governo pare voglia imporci.
È incredibile come questa emergenza e questo maledetto virus stiano facendo esplodere tutte le carenze della nostra società, su temi sempre considerati marginali e che adesso diventano vitali.
Penso all’altra grande esclusa dall’emergenza: la cultura, l’arte.
Ma ve l’immaginate un paese già privato di amore e dei bambini, che debba anche fare a meno dei concerti, del teatro, delle mostre, della danza?
Un paese che dimentica i suoi cittadini più fragili e bisognosi: i bambini, e dietro di loro le famiglie.
Un paese che accusa noi genitori di considerare la scuola un parcheggio, e non si preoccupa minimamente delle conseguenze di questa tragedia su bambini e ragazzi.
E che dopo l’istruzione, esclude la fruizione e l’evoluzione di ogni forma culturale.
E non ha una visione, una pianificazione che vada oltre l’oggi.
Un paese incapace di creare sinergie tra tutte queste forze che adesso sono obbligate a restare sopite, in clausura, dormienti e obbedienti, in attesa che questo tempo rubato venga loro finalmente restituito.
Io non ho soluzioni in tasca, qualche idea forse di come ripartire e ricostruire, ma so per certo che non voglio vivere in un Paese così.
Dove alla fine dei conti, dopo che avranno riaperto negozi e ristoranti, e stabilimenti balneari e parrucchieri ed estetiste e pure il campionato di calcio troverà il suo spazio, se tornerà una nuova ondata di contagio sarà colpa nostra, e non delle istituzioni che non hanno saputo tutelarci e dare soluzioni alternative al “restate a casa”.
Il confine tra distanza sociale e distanza umana si fa sempre più labile.
E senza amore, senza affetti e senza investimenti nella cultura e nell’istruzione siamo destinati a morire dentro, e non di Covid-19